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Grotta Romanelli. Quel 1° giugno del 1900...

 

Il 1° giugno 1900, poco più a nord del piccolissimo borgo costiero di Castro,  avveniva una scoperta destinata a sconvolgere la storia dei tempi preistorici che all'epoca si andava pian piano "scrivendo" in Italia, sotto la guida severa e rigida di Luigi Pigorini. Un momento eccezionale che accadeva, nel silenzio e nell'indifferenza più assoluti, in luoghi di quel sud dell'Italia dove solo di rado giungeva un viaggiatore, spinto da motivi non certo legati alle amenità turistiche che oggi attraggono le folle estive.

Quel 1° giugno di inizio secolo, un uomo, appassionato da tempo di una nuova strana disciplina che era la "paleontologia", esplorando i costoni rocciosi di questo maestoso tratto di costa salentina, riuscì a farsi varco in una tenace e puntuta breccia e ad addentrarsi in un luogo occultato agli occhi degli uomini da almeno 9.000 anni.

Che lì ci dovesse essere una grotta lo diceva chiaramente il toponimo del luogo: Grotta de' Romanelli, e lo aveva segnalato già quasi trent'anni prima un'illustre studioso italiano, Ulderigo Botti, chiamato nel 1870 in Terra d'Otranto per censirne i siti di valore paleontologico (U. Botti, Sulla scoperta di ossa fossili in Terra d'Otranto, 1874); e dove, negli anni di soggiorno, instillò in alcuni giovani salentini una passione tenace per la storia più antica di questo territorio, spronandoli e guidandoli nella ricerca sul campo per tutto l'ultimo trentennio dell'800.

Grotta Romanelli. Ingresso. (foto gentile concessione Lab. Paleofactory - Università La Sapienza, Roma)

L'uomo che, in quella assolata mattina del 1° giugno del 1900, girovagava lungo la scogliera appena a nord di Grotta Zinzulusa, era uno di quei giovani appassionati che all'inizio degli anni settanta dell'800 si era avvicinato ad Ulderigo Botti. Dunque, non uno sprovveduto, così come poi colpevolmente volle dipingerlo la ristretta cerchia scientifica salentina dell'epoca. Nell'ultimo scorcio de XIX secolo, infatti, egli si era già reso autore di numerose segnalazioni e ritrovamenti di siti di interesse paleontologico e paletnologico in questa porzione di territorio salentino, tutti diligentemente riportati all'illustre Botti, a cui consegnava anche i nuclei di materiali recuperati in Grotta delle Striare e nelle contrade Sciuncacchie, Chianche niure e Fiume Surdu; così come segnalava i ripari sotto roccia nella zona di Porto Badisco.

Certo non aveva ricevuto una formazione scientifica accademica, non aveva mai calcato le panche universitarie, non aveva mai avuto un "maestro", ma aveva acquisito una trentennale esperienza sul campo, senza la quale la formazione accademica, ancora oggi molto teorica, lascia il tempo che trova.

Quell'uomo che il 1° giugno del 1900 si addentrava faticosamente in quella oscura e misteriosa cavità, per la prima volta, dopo circa 9.000 anni da quando altri uomini l'avevano frequentata, era Paolo Emilio Stasi da Spongano, professore di disegno presso il prestigioso Real Liceo-ginnasio pareggiato di Maglie e pittore di discreta fama, ben conosciuto in ambito territoriale.

Paolo Emilio Stasi (Foto Archivio Museo Maglie)

 

Aveva così inizio, all'alba di quel nuovo secolo, una fantastica avventura scientifica destinata a rivoluzionare e capovolgere le acquisizioni sulla preistoria italiana fino allora realizzate, e  che - sebbene ritmata nelle sue prime fasi da oscurantismo intellettuale stupido e arrogante con le note dolorose vicende per lo Stasi -, divenne nel corso dei successivi 70 anni, a più riprese,  il luogo focale da cui partirono e s'intrecciarono anche tante storie di amicizie e di passione condivisa  tra studiosi e locali,  che condussero, quasi esito naturale di quella magnifica esperienza, alla nascita del Museo civico di Maglie, nel 1960. Unico in Italia meridionale interamente dedicato alle "cose" della preistoria e alla storia di Grotta Romanelli,  per un lungo periodo in cui la musealizzazione italiana ha inteso privilegiare altri e più "immediatamente attraenti" contenuti espositivi.

Nell'ultimo 40ennio dimenticata dai più, Grotta Romanelli e le sue storie sono state testardamente e appassionatamente poste all'attenzione dei diversi studiosi, narrate e divulgate alle scolaresche e agli appassionati solo e unicamente dal Museo Civico di Maglie, che nel tempo acquisiva anche serie professionalità del settore e nuove concezioni espositive, sempre facendo di Grotta Romanelli il fulcro portante delle sue narrazioni.

Sale centrali del Museo di Maglie dedicate a Grotta Romanelli (Foto Archivio Museo Maglie)

La recentissima ripresa delle indagini, ad opera della Sapienza di Roma, in questa cavità era ormai attesa da tempo, poichè ancora molte storie sono sepolte nel suo potente spessore di depositi; ed è intrigante anche per quanto, ora, tutti potremo e sapremo fare per  mantenerne, di essa,  intatta anche la storia passata, avendo il comune prioritario interesse a tessere nuovi racconti improntati alla salvaguardia delle nuove acquisizioni  scientifiche, ma in primo luogo ampliando e potenziando quella mediazione  culturale puntuale e costante che questo Museo ha sempre realizzato nei confronti dell'intera comunità salentina, prima che pensarla con nuova occasione di attrazione turistica. 

Cosa a cui il Museo Civico di Maglie non è venuto mai meno in questi lunghi 56 anni di vita.

 

 

 

 

 

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